Quando i politici lavoravano

November 4, 2015
in Category: Cronaca, Passato di parole
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Quando i politici lavoravano

Quando i politici lavoravano

Lorenzo Cappelli è stato sindaco di Sarsina (Forlì-Cesena) per mezzo secolo e un anno: un record europeo. Alle spalle due legislature da onorevole e una da senatore, più tanti incarichi pubblici e di partito. Ieri (16 ottobre 2015) è morto a Cesena all’età di 93 anni. Questa è una delle ultime interviste che mi ha rilasciato (26 aprile 2012) in cui puntava il dito sull’abissale differenza tra i politici di una volta e quelli di oggi. “Noi facevamo un sacco di chilometri per andare a visitare le sedi della Dc sperdute qua o là – ha ripetuto più volte – Parlavamo con la gente, sapevamo cosa voleva. Ora fanno riunioni tra di loro”
Non ha le caratteristiche anagrafiche del rottamatore e nemmeno il piglio del populista. Con tangenti e mazzette non ha mai avuto nulla a che fare nonostante alle spalle abbia due legislature da onorevole e da senatore, sia stato segretario provinciale della Democrazia Cristiana e per 51 anni sia stato sindaco di Sarsina. Lorenzo Cappelli, 90 anni il 2 giugno, professore di fisica e fanfaniano convinto, è un vero galantuomo dell’arte di governare. Uno che era capace di far scrivere il suo nome nella scheda elettorale a 30 mila persone, mica le liste bloccate di adesso…

 

Senatore Cappelli cos’è cambiato nella politica? Perchè non funziona più?
Io faccio politica dal 1941 e di cose ne ho viste tante e devo dire con grande amarezza che ora abbiamo toccato il fondo. Se non riusciamo a risalire la democrazia in Italia è a rischio.

E’ peggio anche di Tangentopoli?
Assolutamente sì. Ora c’è una corruzione dilagante, nei costumi, nel modo di vivere. La gente è stanca e ce l’ha con i politici. Tutti, nessuno escluso.

Ma c’è una via d’uscita?
I politici devono mettersi in testa che bisogna vivere in mezzo alla gente. Chi comanda è il popolo e noi lo sapevamo bene. Facevamo chilometri per andare nelle sedi più sperdute, parlavamo con la gente, eravamo sempre in fermento. Di vacanze non ne facevamo molte. Era il popolo che ci votava e a lui dovevamo rispondere di ciò che facevamo. Ora, invece, decidono tutto loro, fanno tutto loro senza ascoltare nessuno. Questa non è più democrazia, è un’oligarchia.

Ma lei cosa faceva quando era senatore?
Era profondamente radicata nel territorio, quasi ogni sera ero occupato a visitare le nostre sezioni per sapere cosa volevano gli iscritti. Adesso è diverso: s’incontrano in una sala, fanno un convegno, non sentono la base, il sangue della gente. Ed è proprio questo distacco che ha prodotto la corruzione, l’allontanamento della gente dai partiti. Mi ricordo che nel ‘46, quando divenni vicesindaco e poi sindaco, sindaco, assessori e consiglieri non prendevano una lira. I consigli comunali si facevano di domenica mattina, la giunta il martedì sera per permettere agli amministratori di lavorare. Era un servizio reso alla collettività, una cosa in più. A muoverci erano la passione, i valori cattolici, il raggiungimento del bene comune.

E quando era deputato?
Sono stato eletto la prima volta nel ‘76, l’indennità era alta ma non c’erano tutti quei benefit di adesso. Mi ricordo che a Montecitorio c’era un grande salone e lì ogni deputato aveva un piccolo tavolo. Sopra tutti i documenti uno sopra all’altro, a stento ci si vedeva con i colleghi. Io convivevo con un altro deputato di Bologna, avevamo un piccolo appartamento: due camere e un bagno, mica gli attici di adesso… Tornavo a casa il venerdì sera, sabato e domenica giravo per le sezioni della democrazia cristiana, il lunedì mattina ricevevo 40 o 50 persone a Forlì, il pomeriggio andavo a Bologna. Il martedì ero a Sarsina perchè facevo il sindaco e nel pomeriggio andavo con la macchina ad Arezzo per prendere il treno per Roma. Insomma lavoravamo parecchio.

La rifarebbe questa vita?
Sì la rifarei, anche se mi rendo conto che ho tolto molto alla famiglia e ai miei figli che un giorno mi sono accorto che erano diventati grandi senza averli visti crescere. Il sacrificio è stato tanto, ma la politica per me era come una droga. Riconosco, però, di essere stato molto fortunato e di aver avuto di più di quello che ho dato. Penso che ognuno di noi abbia un destino. Mi ricordo che da piccolo avevo in casa un quadro dove c’era scritto Luigi Cappelli, sindaco di Sarsina. Era mio nonno e visto che allora (nel periodo fascista) c’era il podestà non sapevo cosa volesse dire sindaco, mi sembrava una parola grande, misteriosa. E ho vissuto molti anni con il ricordo di questo quadro. Quando mi sono ritrovato a giurare la prima volta per la stessa cosa che aveva fatto lui, il sindaco di Sarsina, mi sono commosso ripensandoci. So che è una sciocchezza dirlo ma è stato un segno del destino.

Cosa le piace in un politico?
Da buon romagnolo mi piace la coerenza. Non sopporto i voltagabbana. C’è un detto in Romagna “La pietra lanciata e la parola data non tornano mai indietro”. E come me sono molti romagnoli, diversi dagli altri. Per questo mi sono battuto anche con Casini, ultimamente, per fare il primo congresso dell’Udc romagnolo. Ma con il vento che tira e con il fatto che l’Udc ha azzerato tutte le cariche nazionali non so…

L’altro suo amore, dopo la politica, è la Romagna autonoma. A che punto siamo?
Mah, non lo so. Il Mar è nato nel ‘89 e non abbiamo mai chiesto la Romagna Autonoma calata dall’alto, noi abbiamo chiesto di fare un referendum per chiedere ai romagnoli se vogliono essere autonomi. E’ un atto di democrazia. La Romagna Autonoma non è un problema sentimentale, di folklore, noi pensiamo che i problemi della nostra terra si risolvano solo con l’autonomia. Pensi che quando arrivano i finanziamenti europei Errani dà l’80% all’Emilia e il 20% alla Romagna. Dovrebbero darci almeno il 25% perchè siamo un quarto dell’intera popolazione.

Ma è solo questione di numeri, di costi…
L’autonomia è un valore in sè. Le faccio l’esempio di Riccione. Quando è diventato comune autonomo è riuscito a mettersi in mostra guadagnandoci e non facendo perdere nulla a Rimini. E’ un’operazione che crea valore, ricchezza. Vale anche per Rimini. Quando era sotto la provincia di Forlì spariva. Ora è una delle più province più evolute, più forti anche perchè riesce a risolvere meglio i suoi problemi. E invece noi siamo ancora qui che discutiamo degli stessi problemi degli anni ‘70: fiera, aeroporto, viabilità.Abbiamo fatto qualcosa, ma poco. Manca la regia. Tutti i comuni sono campanilisti. Se ci fosse la Regione Romagna andrebbe molto meglio.

Perchè non l’abbiamo ancora fatta questa Romagna?
Perchè la sinistra che comanda in Emilia Romagna ha fatto di questa regione un fiore all’occhiello e quindi non ci pensa proprio a dividerla. Nulla si muoveva senza il potere, nessuno ha interesse. Gli unici siamo noi del Mar che ci battiamo per chiedere un referendum democratico: se i romagnoli vogliono la Romagna diamogliela, se dovessero dire di no, basta, chiudiamo tutto e non ci pensiamo più.

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