Grano, olio, vino, verdure, pesce fresco, ma soprattutto convivialità, piacere di stare allo stesso tavolo e condivisione di un pasto. E’ questo il segreto della dieta mediterranea, patrimonio tutto italiano (riconosciuto anche dall’Unesco) che dobbiamo stare attenti a non distruggere con nuove mode o falsi miti e non dobbiamo farci scippare da chissà chi per nulla al mondo.
A pensarla così sono Marino Niola ed Elisabetta Moro, docenti universitari di antropologia dell’Università di Napoli, divulgatori, scrittori di vari libri, tutti di successo, appassionati della storia della cucina e autori dell’ultima opera in uscita a metà maggio dal titolo “Andare per i luoghi della dieta mediterranea” (Il Mulino). Venerdì sera sono stati ospiti dell’iniziativa “Dentro il libro” che si svolge a Mercato Saraceno ed è organizzata dall’Associazione Culturale “Fogli Volanti”, dall’Istituto Comprensivo “Valle Savio” e dal Comune di Mercato Saraceno.
Cos’è la dieta mediterranea?
“Bisogna subito precisare una cosa – spiega Marino Niola – mangiarsi un pomodoro da solo davanti al frigo non è dieta mediterranea è solo una tristezza infinita. Dieta in greco significa modo di vivere, stile di vita, non restrizione e castigo come viene erroneamente intesa al giorno d’oggi. Nei luoghi dove da sempre ci si alimenta seguendo quella che è stata denominata dieta mediterranea, il cibo è piacere e il piacere è salute.
Ecco partiamo dalla storia della dieta mediterranea? Ma chi è che le ha dato questo nome?
“Tutto è iniziato con due studiosi americani, Ancel Keys e la moglie Margaret Keys, arrivati a Napoli nel 1951 – spiega Elisabetta Moro che sull’argomento nel 2014 ha pubblicato il libro “La dieta mediterranea. Mito e storia di uno stile di vita” (Il Mulino) – scoprirono che nella zona della Campania, a differenza dell’America dove c’era un numero impressionante di uomini falcidiati da infarti, le persone con patologie cardiovascolari erano pochissime. Proseguirono le loro ricerche facendo gli esami del sangue a un gruppo di operai dell’Italsider ed emerse che l’unico parametro differente dagli uomini analizzati in America era il colesterolo: a Napoli era bassissimo, in America molto alto. L’intuizione fu collegare il colesterolo all’alimentazione, collegamento non così scontato nel 1951. Iniziarono a chiedere agli operai cosa mangiassero e loro risposero che la loro alimentazione era composta principalmente da broccoli, pane, cipolle, olio di oliva, legumi, pesce fresco, pasta, carne, solo la domenica. Da quel momento iniziarono una ricerca che durò 35 anni, coinvolse sette Paesi (Italia, Grecia, Olanda, Jugoslavia, Finlandia, America e Giappone) e 12 mila uomini, dalla quale emerse chiaramente come l’alimentazione influisse sulla salute degli abitanti. I due studiosi si resero conto di avere per le mani la ricetta della salute, della longevità, praticamente la panacea di tutti i mali, e nel 1975 scrissero il libro “Eat well and stay well”, ovvero Mangiar bene e Stare bene, dove per la prima volta si parlò di Dieta Mediterranea, identificandola con alimenti precisi e uno stile di vita ben definito.
Così ci sono voluti due americani per “scoprire” il tesoro che noi avevamo già, senza rendercene conto?
“Esatto. Come capita spesso – spiega Marino Niola – chi proviene dall’esterno fa confronti e il confronto fa emergere situazioni che altrimenti passerebbero inosservate. Noi in Italia, soprattutto in certe zone, abbiamo da sempre un modello perfetto di alimentazione e, forse, non ce ne siamo mai resi conto. Ci volevano due americani a farcene rendere conto… Tra l’altro i due americani decisero di trasferirsi a Pioppi, un paesino nel comune di Pollica, nel Cilento, perché erano convinti assertori del fatto che mangiare bene in compagnia allungasse la vita di 20 anni. E infatti lui è morto a 101 anni e lei a 97 anni. Insomma, direi che hanno fatto una scelta azzeccata…
In questo nuovo libro raccontate i luoghi di questa dieta mediterranea?
“Sì, parliamo dei nostri luoghi del Cilento, di Napoli – spiega Elisabetta Moro – ma anche del Salento, di Venezia, di Genova”. Ci sono anche altre città dell’Italia di cui citiamo alcuni ristoranti dove, secondo noi, si pratica la buona cucina della dieta mediterranea. Per quanto riguarda la Romagna, per esempio, c’èil ristorante La Marianna di Rimini.
Perché avete parlato a lungo anche di Venezia e Genova?
“Perché Venezia e Genova, per anni le padrone del Mediterraneo, hanno giocato un ruolo fondamentale nella formazione di quella che è chiamata dieta mediterranea. Grazie a Venezia, infatti, in Italia sono entrate le spezie orientali, poi coltivate lungo la costa ed entrate da vere protagoniste nell’alimentazione comune. Genova, invece, ha a che fare con un certo Cristoforo Colombo che ha portato in Italia la patata, il peperone, il pomodoro, i fagioli. Senza un navigatore come lui mancherebbero pezzi fondamentali di quella che è diventata la dieta mediterranea. Tra l’altro noi italiani, spesso, tendiamo a distinguere l’Italia in nord e sud, invece a tavola, nei sapori e nell’uso di certe spezie, c’è quasi più differenza tra est e ovest.
Cosa ne pensate del veganesimo?
“Tutto il male possibile – risponde Marino Niola che nel 2015 ha scritto “Homo dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari” (Il Mulino) – e spiego anche il perché. Il veganesimo non è una dieta o stile di vita inclusivo e nemmeno conviviale. Rappresenta una specie di setta che professa la medicalizzazione del cibo, la costrizione del piacere, vieta non accoglie gli alimenti. Non conosce l’equilibrio e l’armonia della naturalità. E questo non fa bene né al corpo né alla mente. In più i vegani convinti sono pericolosi perché, anche a livello culturale ed economico, col loro dare preferenza ad alimenti che non sono tipici della nostra cultura come soia, bacche, tofu e seitan, stanno abbattendo secoli e secoli di tradizioni culinarie e agricole. Stanno commettendo un vero danno anche alla nostra economia, forse senza rendersene conto. Eppoi, in ultimo, non dimentichiamoci che se l’homo sapiens si è affermato sugli altri animali nella scala evolutiva è perchè era onnivoro, non vegano.